martedì 20 marzo 2018

Stefan Zweig - FOUCHE' - Mondadori Roma, 1945 - £ 200

Salta subito agli occhi guardando la copertina di questo libro, edito nel 1945, l'anomalia di Roma come sede della Mondadori. Non Milano, da dove Mondadori fu costretto a sfollare per i bombardamenti, non Verona, che dopo l'8 settembre venne requisita dai tedeschi, ma neanche Arona, dove si era ritirato prima di riparare in Svizzera in attesa di tempi migliori. 

Si deve allora presumere che questa VI edizione della biografia di Fouché, la cui prima edizione era apparsa nel 1931, fu edita quando Mondadori ancora non aveva ripreso il controllo degli stabilimenti di Verona, infatti il volume è stampato dalla tipografia L'impronta di Firenze, in brossura, anzichè rilegato come tutti i volumi della collana Le scie, ad un prezzo che è, nel 1945, l'equivalente di 10 caffè.



L'autore, Stefan Zweig (1881-1942),  uno dei massimi esponenti della cultura europea, pacifista convinto, spirito libero per vocazione, cosmopolita per cultura, incompatibile con ogni tipo di ideologia o adesione fideistica a qualsiasi credo politico o religioso, ebreo ancorché laico, critico nei confronti del sionismo nascente alla fine del XIX secolo, narratore sensibile, grande biografo, drammaturgo, uomo libero e coerente, talmente disperato dalla nuova tragedia della seconda guerra mondiale, dopo aver vissuto le distruzioni della prima, che nel 1942, in esilio in Brasile, si tolse la vita insieme alla sua compagna.

Un uomo integro come Zweig, sembra l'autore ideale per scrivere la biografia di un uomo politico così inviso a tutti gli storici francesi, siano monarchici, repubblicani o bonapartisti che intingono subito la penna nel fiele appena si accingono a scrivere il suo nome. Traditore nato, intrigante meschino, rettile sgusciante, disertore di professione, bassa anima di poliziotto, ipocrita moralista: non vi è improperio che gli sia stato risparmiato. (Dalla prefazione dell'Autore)






Joseph Fouché (1759-1820) sembra un nostro contemporaneo, uno di quei personaggi che affollano i parlamenti della nostra seconda o terza repubblica, fate voi; un uomo sempre pronto a saltare sul carro del vincitore, di più: grazie al fiuto straordinario ed agli intrighi di cui era maestro derminare la parte vincente con cui schierarsi, dimostrando un intuito che lo pone tra i grandi politici dei suoi tempi.



Eletto alla Convenzione nel 1792 tra i giacobini, passa subito dopo ai montagnardi votando la condanna a morte del re; inviato a Lione a sedare una rivolta, si distinse per il suo zelo e la straordinaria durezza, guadagnandosi il soprannome di Le mitrailleur de Lyon. 

«Si, noi osiamo confessarlo. Noi facciamo versare molto sangue impuro, ma lo facciamo per umanità, per dovere. Non dobbiamo deporre la folgore che ci avete posto tra le mani che quando voi stessi ce ne darete l'ordine. Fino a quel momentoi continueremo senza interruzione a colpire i nemici nel modo più spaventoso, più terribile e più pronto». 
Milleseicento esecuzioni nel corso di poche settimane fanno testimonianza che questa volta, per eccezione, Giuseppe Fouché ha detto la verità.






Nel 1964 la televisione mandò in onda un bellissimo sceneggiato in otto puntate da 60 minuti, cose d'altri tempi!, I grandi camaleonti, di Federico Zardi (1912-1971) e diretto da Edmo Fenoglio (1928-1996), con la più alta presenza di grandissimi attori; era stato preceduto nel 1962 da I giacobini degli stessi autori. Fouché era interpretato da un indimenticabile Raoul Grassilli (1924-2010). Qui sotto la prima puntata.

 https://www.youtube.com/watch?v=unjPDHPLQs4


Bello e dramatico il racconto dello scontro con Robespierre in seno alla Convenzione, dove Fouchè riuscì ad avere la meglio, utilizzando le armi che gli erano più congeniali: seminando paure, insinuando dubbi, coltivando amicizie e promovendo alleanze. Un fine lavoro politico.


I deputati della Convenzione l'8 di Termidoro, pavidi come Senatori romani, preoccupati  della ghigliottina, che non aveva mai smesso di funzionare, assecondano il piano dei congiurati, avente come l'obiettivo l'eliminazione dell'Incorruttibile e la fine del triunvirato che di fatto governava la Francia.

Con il nuovo regime che si instaura, il Direttorio, Fouché sarà capo della polizia; lo sarà ancora con Napoleone dopo che l'avrà aiutato nel colpo di stato del 18 Brumaio ad instaurare il Consolato; sarà ancora Ministro di Polizia durante l'Impero, lo sarà ancora durante i "Cento Giorni" di Napoleone, ma preoccupato per il futuro, tramerà per il ritorno dei Borboni sul trono di Francia, e Luigi XVIII lo premierà nominandolo ancora una volta Ministro di Polizia.




Ma quello che ha tanto temuto si avvera. Per un quarto di secolo Fouchè ha lottato disperatamente contro il ritorno dei Borboni, col giusto intuito che essi gli avrebbero fatto pagar care le due parole «la morte» con cui egli aveva spinto Luigi XVI sotto la ghigliottina; ma poi, da vero sciocco, si era illuso d'ingannarli, insinuandosi tra loro, travestendosi da docile e fedele servitore monarchico. (...)
Ora che è impotente e abbandonato alla vendetta di tutti, l'odio dei partiti si scaglia sul caduto come un giorno le simpatie di tutte le fazioni avevano adulato il potente. Non servono più intrighi, né proteste, né invocazioni: un potente senza potere, un politico senza autorità, un intigante senz'armi è sempre la figura più meschina del mondo. Tardi, ma con usura, Fouché sconterà l'errore di non aver mai voluto servire un'idea o una passione morale della umanità, seguendo invece, sempre, il mutevole favore degli uomini.








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