venerdì 6 gennaio 2017

Raffaello Giovagnoli - SPARTACO - Parente Editore Firenze - 1955


Raffaello Giovagnoli (1838-1915), scrittore, giornalista, patriota, garibaldino,  politico, parlamentare nel Regno d'Italia per cinque legislature. Di questo eclettico personaggio ho sentito parlare spesso in famiglia perché parente di mia nonna materna, anche lei una Giovagnoli, il cui padre (il mio bisnonno) doveva essere cugino primo; peccato che all'epoca, quando ne sentivo parlare in casa, il mio interesse di bambino era attratto da altro. 

Di questo romanzo storico, scritto al Caffè del Teatro Valle, e uscito a puntate nel 1873 sul quotidiano Fanfulla, così come I tre Moschettieri di Dumas una trentina di anni prima sul giornale Le siécle, tornai a pensare nel 1960, quando, in occasione dell'uscita in Italia del film Spartacus di Stanley Kubrick, Mondadori - dove lavoravo - ristampò il romanzo di Haward Fast (1914-2003) da cui era stato tratto il film.

Non fu certo per affermare un'anacronistica prima genitura che, in quegli anni, cercai presso la Biblioteca Nazionale di Roma, la vecchia sede di quasi sessanta anni fà, questo Spartaco di Giovagnoli, ma inutilmente perché non esisteva nel catalogo. La cosa era abbastanza curiosa per un romanzo che aveva avuto un grande successo, specialmente dopo il pubblico apprezzamento fattone da Giuseppe Garibaldi con una lettera di encomio all'autore; inoltre il romanzo era stato tradotto in tutto il mondo e se ne erano occupati a suo tempo Croce (La letteratura della Nuova Italia, vol.V) per liquidarlo con sufficienza, e Gramsci (Quaderni del Carcere, VIII) che ne aveva apprezzato invece il carattere popolare, e ne auspicava un adattamento moderno.

Raffaello Giovagnoli fu uomo di larghi interessi letterari e storici, e a lui si deve anche una delle prima Storie del Risorgimento Italiano. Considerata nel suo complesso, la figura del Giovagnoli meritava di essere rinfrescata nella memoria di noi posteri, e si può dire di lui, che fu storico per essere romanziere e volle essere romanziere per ragioni didattiche (Massimo Pinto)

Le ragioni didattiche di Giovagnoli, si evidenziano sia nella puntigliosa descrizione degli usi e costumi della popolazione romana nella vita di tutti i giorni e nelle cerimonie civili e religiose, sia per la traduzione in latino di tutti gli oggetti che si incontrano nel racconto: armi, suppellettili, indumenti di uso comune, e poi per la descrizione dettagliata delle strade, vicoli e rioni sia di Roma che delle città interessate dal racconto, negli anni tra il 675 e 683 del calendario di Roma.




Un aspetto particolarmente rilevante dello Spartaco di Giovagnoli, è la grande fortuna che il libro ebbe all'estero e il gran numero di traduzioni che ne furono fatte già alla fine del XIX secolo e poi per tutto il XX secolo, fino ai nostri anni. Forse già nel 1880 il romanzo fu adattato in russo, in castigliano nel 1884 e nel 1930,  in francese 1902, in tedesco 1939 e in varie lingue dell'Unione Sovietica: ucraino, kazako, uzbeco, kirghiso; e in molte lingue dei paesi vicini al mondo sovietico: rumeno, ungherese, serbo-croato, bulgaro e mongolo. Una traduzione in finlandese fu anche stampata a Portland in Oregon, dai socialisti finlandesi d'America. Particolarmente significativa è stata poi la fortuna del romanzo in Cina fino ad anni molto recenti. Almeno tre le traduzioni in yiddish 1900, 1903 e 1913. Non sembra invece che il romanzo sia mai stato tradotto in inglese.

Queste notizie sono prese dagli atti di un seminario di studi svoltosi a S.Maria Capua Vetere nell'ottobre del 2013 sul tema L'Unità d'Italia e la cultura classica. Sotto il link relativo:

http://www.academia.edu/9836520/Spartaco_al_tempo_dellUnit%C3%A0_dItalia._Sul_romanzo_di_Raffaello_Giovagnoli

Anche se alcuni storici ritengono una forzatura identificare Spartaco come precursore del combattente proletario-antimperialista, nel mondo socialista e comunista questa figura è sempre stata vista in questo modo, a cominciare da Karl Marx che, in una lettera del 1861 a Engels, definisce Spartaco uno dei migliori protagonisti dell'intera storia antica e un genuino rappresentante dell'antico proletariato. Non ebbero miglior fortuna del nostro eroe, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht che, nel 1919, istituirono la «Lega di Spartaco» e furono denominati per questo motivo «spartachisti», ma quando si sollevarono contro il governo di Berlino, vennero  ferocemente repressi e assassinati.

Leggendo la biografia di Howard Fast (1914-2003) autore del romanzo Spartacus da cui Stanley Kubrick ha tratto il famoso film che Kirk Douglas, produttore e protagonista, aveva fortemente voluto, viene spontaneo chiedersi, dove l'autore abbia trovato lo spunto per scrivere un romanzo su questo personaggio: figlio di genitori ebrei, madre inglese e padre uscraino, digiuno di studi classici,  iniziò a lavorare, secondo la migliore tradizione americana, vendendo giornali presso la Biblioteca di New York. Difficile che avesse letto Plutarco, o Appiano, o Sallustio, forse più semplicemente fu ispirato dalla lettura dello Spartaco di Giovagnoli, testo, come abbiamo già visto, famoso in tutto il mondo, ma soprattutto nell'ambiente della sinistra comunista, e qui va ricordato come Howard Fast, vittima del maccartismo per la sua adesione al comunismo, nel 1953 vinse il Premio Stalin per la Pace. Sono ipotesi, ovviamente, nient'altro che ipotesi che nulla aggiungono e nulla tolgono ai due romanzi, che, è bene ripeterlo, sono assai diversi tra loro, non solo per lo stile, ma per la storia che raccontano, simile ma non uguale.

Edizione russa di Spartaco
Film muto del 1913 di Giovanni Enrico Vidali, tratto dal romanzo di Giovagnoli
 Qui sotto alcune scene del film:
 https://www.youtube.com/watch?v=IUOMr15z0VU


Ma veniamo al romanzo. Fin dalle prime pagine ci si trova immersi nel mondo romano, se ne percepiscono gli odori, si ascolta frastornati il clamore di una città che ribolle di vitalità incontrollata: che a me ha ricordato un po' l'atmosfera de I Tre Moschettieri di Dumas, non solo per l'incip che è similmente una scena di massa, che risucchia il lettore dentro il romanzo con la forza delle immagini vivaci, ma per i particolari che si alternano, come in una sapiente sceneggiatura, allo sguardo d'insieme. Voglio dire, qui la storia non è solo raccontata ma, come tutti i romanzi popolari, tende a coinvolgere il lettore nelle emozioni dei personaggi.  Questo l'incipit di Spartaco:

 Al levar del sole del quarto giorno avanti le idi di novembre (10 novembre 675 dell'èra romana), essendo consoli Publio Servilio Vatia Isaurico e Appio Claudio Pulcro, Roma formicolava di popolo che, proveniente da tutte le regioni della città, si dirigeva al Circo Massimo.
 Dalle straduzze strette, tortuose, popolatissime dell'Esquilino e della Suburra, più specialmente abitate dal popolino, una folla sempre crescente di persone d'ogni età e d'ogni condizione affluiva e si dilagava nelle vie principali, di Tabernola, dei Figuli, Nuova, ecc., camminando sempre in direzione del Circo.
 Cittadini, operai, capo-censiti, liberti, vecchi gladiatori storpi e coperti di cicatrici, poveri e monchi veterani delle superbe legioni vincitrici dell'Asia, dell'Africa e dei Cimbri, femminucce del volgo, mimi, istrioni, danzatrici e stormi di vispi e saltellanti fanciulli formavano quella folla sterminata.  Essa, con la fronte serena, con sguardo giulivo, con la parola e col frizzo facile e pronto sulle labbra, affrettandosi verso il Circo, dava a divedere indubbiamente come s'andasse a qualche pubblico e piacevole spettacolo.
 Tutte queste turbe spigliate, ciarliere, numerose, empivano le strade della grande città di quel confuso, indistinto e gagliardo ronzìo, di cui appena mille e mille alveari riuniti nelle sue vie avrebbero potuto produrre l'eguale.
Per gioco, leggiamo anche l'incipit de I Tre Moschettieri:

Il primo lunedì di aprile del 1625 la cittadina di Meung, dove nacque l'autore del Roman de la Rose, sembrava completamente sconvolta, come se gli ugonotti fossero venuti a farne una seconda Rochelle. Molti borghesi, vedendo fuggire le donne dalla parte della Grande-Rue e sentendo piangere i bambini sulle porte, si affrettarono a indossare la corrazza e, rafforzando il loro contegno un po' incerto con un moschetto o una partigiana, si diressero verso la locanda del Franc Meunieur, davanti alla quale si accalcava, ingrossandosi di minuto in minuto, una folla compatta, rumorosa e curiosa.
A quell'epoca il panico era assai frequente, e poche giornate passavano senza che una città o l'altra registrasse nei suoi archivi un avvenimento del genere. C'erano i nobili che si facevano la guerra tra loro; il re che faceva la guerra al cardinale, la Spagna che faceva la guerra al re. Poi, oltre a queste guerre nascoste o pubbliche, manifeste o segrete, c'erano i ladri, i mendicanti, gli ugonotti, i lupi, e i lacché che facevano la guerra a tutti. I borghesi si armavano sempre contro i ladri, i lupi, i lacché, spesso contro i signori e gli ugonotti, qualche volta contro il re, mai contro il cardinale e gli Spagnoli. Il risultato di queste abitudini è che il suddetto lunedì i borghesi, sentendo del frastuono e non vedendo né il guidone rosso e giallo, né la livrea del duca di Richelieu, si precipitarono alla locanda del Franc Meunieur.



Come ha scritto qualcuno il romanzo è e resta ancora il modo migliore di raccontare il mondo di oggi, quello di ieri e quello di domani. Ma non si era a lungo discusso sulla morte del romanzo? Ma se questo fosse vero, significherebbe che non sia più possibile raccontare il mondo?  

Non staremo certo qui a riproporre l'eterno dilemma se il romanzo sia morto davvero, e perché e quando e chi ne siano i responsabili. Certo il romanzo popolare era in perfetta salute, con il suo schema costante e ben collaudato: l'eterna contraddizione tra bene e male; l'amore travolgente, totale; i sentimenti sempre estremi; la crudeltà, il tradimento e l'odio sempre viscerali, così come l'abbandono e l'amore totale; e l'amicizia sacra, fino al sacrificio.

Spartaco rappresenta tutto questo, è la summa, il compendio di tutti gli stereotipi del romanzo popolare e del romanzo d'avventura, con un protagonista la cui vicenda umana, a distanza di oltre venti secoli ancora riesce a rappresentare  l'eroe (ἣρως), cioé colui che compie straordinari e generosi atti di coraggio, fino al consapevole sacrificio di sé stesso. Come poteva non essere d'esempio per i rivoluzionari di tutto il mondo?

Così si esprime Spartaco, quando Cesare gli chiede:

- ...Spartaco, che con ammirabile costanza, con sapienza di gran capitano, hai raccolto gli schiavi in esercito, li hai ordinati a legioni, e ti appresti a guidarli alla riscossa, dimmi che volgi tu nella mente, Spartaco, che speri?
- Spero - rispose il rudiario, con occhi scintillanti e con slancio di irrefrenabile passione - di sfasciare questo corrotto mondo romano, e dalle sue ruine veder sorgere l'indipendenza dei popoli: spero di abbattere le leggi infami che vogliono l'uomo prono innanzi all'uomo ed impongono che tra due creature umane, dotate della stessa forza e della medesima intelligenza, l'uno sudi su zolle non sue per dar cibo all'altra che poltrisce in ozio infingardo: spero di soffocare nel sangue degli oppressori i gemiti degli oppressi: di infrangere i ceppi degli infelici, asserviti al carro delle romane vittorie, spero di cangiare quei ceppi in brandi, onde a ciascun popolo sia dato ricacciarvi entro i confini d'Italia, che segnano la terra a voi concessa dagli Dei, e i limiti della quale non avreste dovuto giammai varcare: spero di poter incendiare tutti gli anfiteatri dove un popolo di belve, che chiama barbari noi, s'inebria alle stragi e alle carneficine di poveri uomini nati all'intelligenza, alla felicità, all'amore anch'essi, e destinati, invece, a scannarsi, per sollazzo dei tiranni del mondo, spero, per tutte le folgori del potentissimo Giove, di vedere abolito sulla terra l'obbrobrio della schiavitù all'apparire dello splendido sole della libertà.
E' difficile, contro ogni razionalità, non essere con Spartaco.




 Un amico mi ha informato di possedere una copia della quarta edizione del 1882 con illustrazioni di Senesi, questa copia del 1955 e illustrata con 32 incisioni di Santino Gallieni di qui sotto ne riproduco alcune: