lunedì 21 settembre 2015

William Faulkner - MENTRE MORIVO - Mondadori 1958 - £ 1.200


  Questo fondamentale testo di William Faulkner (1897-1962) è stato scritto in meno di un mese, dal 15 ottobre all'11 novembre del 1929, quando a 32 anni l'autore lavorava come fuochista alla centrale elettrica dell'Università del Mississipi. Secondo il racconto che ne fa Fernanda Pivano nel saggio Mostri degli anni venti (Il Formichiere, 1976 pag.310): «vi si dedicava nelle ore di minor lavoro, tra la mezzanotte e le quattro del mattino, usando come tavolino una carriola capovolta».

  Mentre morivo, pubblicato nel 1930, come il romanzo precedente  L'urlo e il furore del 1929, non ebbe alcun successo alla sua uscita: entrambi risultano infatti una lettura molto impegnativa.  La storia prende forma attraverso monologhi, come in un contrappunto polifonico, dove le voci dei  personaggi, alternandosi, sostituiscono la neutrale voce narrante. Assistiamo così ai fatti, drammatici o tragicomici, nel momento stesso che questi avvengono; e attraverso il flusso di coscienza, ricostruiamo i difficili rapporti che legano tra loro i componenti la famiglia Bundren, gli odii e i segreti inconfessabili, ma non tutto emerge ad una prima lettura, e una seconda è quasi indispensabile.

  Il romanzo è diviso in 59 capitoli-monologhi, le voci dialoganti sono 7 della famiglia Bundren e 8 di persone che sono con loro in contatto.

  Un unico struggente monologo è riservato  alla protagonista,  mamma Addie, che sa tutto il dolore della vita e dell'inganno delle parole:

Mi ricordo che mio padre diceva sempre che lo scopo della vita era quello di prepararsi a restare morti per molto tempo. (.....)

Fu allora che imparai che le parole non servono a nulla; che le parole non corrispondon mai neppure a quello che cercano di dire. Quando nacque (Cash) ho capito che la parola maternità era stata inventata da qualcuno che aveva bisogno di una parola per questo perché quelli che avevano dei bambini non si preoccupavano se c'è una parola o se non c'è. Ho capito che la parola paura era stata inventata da qualcuno che non aveva mai avuto paura: orgoglio, da chi non aveva mai avuto orgoglio. (.....)

Non sapeva di essere morto, allora. Certe volte, stesa accanto a lui al buio, ascoltavo la campagna che ora faceva parte del mio sangue e della mia carne e pensavo: «Anse. Perché Anse? Perché Anse?». Pensavo al suo nome finché non arrivavo a veder la parola prender forma, quella di un recipiente. E poi lo vedevo liquefarsi e colarci dentro come della melassa fredda che colasse dalle tenebre dentro il recipiente, finché l'orciolo fosse pieno e immobile: una forma significativa, profondamente inanimata, come il vuoto del vano di una porta; e poi mi accorgevo di essermi dimenticata del nome dell'orciolo.

Come L'urlo e il furore anche questo romanzo rimane impresso a lungo nella mente, per il quadro di umanità umile e dolorante che rappresenta, per il tono della narrazione accesa e poetica e per la sua forma innovativa.


giovedì 3 settembre 2015

John Steinbeck - LA VALLE DELL'EDEN n.49-50-51 della collana I Libri del Pavone - Mondadori 1955 - £ 250 x 3



Nel 1952, nel pieno della maturità, John Steinbeck tornò al successo con il romanzo-epopea La valle dell'Eden, ancora una volta un richiamo biblico fin dal titolo, ancora una volta il bene e il male in lotta nella coscienza dei suoi protagonisti.

Nel XXXIV capitolo,  Steinbeck chiarisce con una ditidezza abbagliante la sua visione della vita:
Gli esseri umani sono presi - nella loro vita, nei loro pensieri, nelle loro bramosie e ambizioni, nella loro avidità e crudeltà e anche nella loro gentilezza e generosità - dentro una rete di bene e di male. Credo che questa sia la sola storia che abbiamo e che si svolge su tutti i piani della sensibilità e dell'intelligenza. La virtù e il vizio furono la trama e l'ordito della nostra prima consapevolezza, e saranno il tessuto dell'ultima e questo a onta di qualsiasi cambiamento che noi possiamo imporre ai campi, ai fiumi, e ai monti, all'economia e ai costumi. Non c'è altra storia che questa. A un uomo, dopo che si è spazzato via di dosso la polvere e i detriti della sua vita, rimaranno solo le dure, nitide domande: Era bene o era male? Ho fatto bene o male?

La storia dei Trusk, dal Connecticut e degli Hamilton, dall'Irlanda, si incrociano nella California settentrionale, nella valle del Salinas, che, come  canalone lungo e stretto tra due file di monti, e il fiume Salinas si snoda e si contorce lungo la valle fino a sfociare nella baia di Monterey. Samuel Hamilton, personaggio centrale della storia, patriarca di una famiglia che lo venera,  padre di quattro maschi e tre femmine, tra le quali Olive, madre dell'autore, che sposerà John Ernst Steinbeck.

La voce narrante in un paio di occasioni si identifica apertamente con l'autore e, in un'altra, racconta di se in terza persona, come un qualunque personaggio della storia.
 


Nel 1955 Elia Kazan porterà sullo schermo non tutta la storia, ma solo la parte finale del romanzo quella dei due fratelli Trask: Cal, interpretato da uno strepitoso James Dean per la prima volta sullo schermo, preferito a Paul Newman.

Il film fu un successo mondiale, vinse molti premi, lanciò James Dean come icona giovanile, ma credo non fece bene al romanzo; come spesso accade ai film tratti da romanzi di successo, per la facilità di fruizione del film rispetto al romanzo, in questo caso lungo romanzo, dissuase molti potenziali lettori che, visto il film e rinunciando a leggerlo non conobbero la storia intera, l'antefatto che è fondamentale per la comprensione dei personaggi.



Leggendo accade a volte di incontrare termini che non ci suonano bene, parole  che stonano, fuori posto, soprattutto nei libri tradotti. Per esempio, per me rimane un mistero perché De Angelis tradusse the green acres  (verdi acri)  in iugeri verdi, e per tutto il romanzo usò solo questa antica unità di misura dei Romani, lo jugerum. Mentre l'acro è la corretta unità di misura negli Stati Uniti per quanto riguarda i terreni, ed pari a 4.046 mq., lo iugero, che indicava l'estenzione di terra che si può arare in un giorno con una coppia di buoi,  è pari ad una superficie di 2.500 mq, quindi neanche come valore coincidenti.  Poi, leggere iugeri anziché acro, da l'impressione di stare in un romanzo russo, nella steppa e non in California.

L'altra cosa, questa veramente insopportabile, in questa traduzione è sentir ripetere decine di volte giorno del Rendimento di Grazie invece che il più semplice e corretto Giorno del Ringraziamento; impensabile lasciare l'originale  Thanksgiving Day, come si farebbe tranquillamente al giorno d'oggi.

Sono passati quasi settanta anni da questa traduzione e, com'è normale, sono venute alla luce tutti gli errori, le sviste, le travisazioni, le semplificazioni, le omissioni, le aggiunte e tutti i difetti comuni alle traduzioni degli anni '50,  che trovano una giustificazione nel nobile tentativo di rendere comprensibile, al lettore italiano di quegli anni, la realtà americana, che forse lo stesso traduttore non conosceva.

Qui di seguito l'intervista ad Anna Tavaglini, che ha curato nel 2014, con Maria Baiocchi, la nuova  traduzione della La valle dell'Eden.

http://www.letteratura.rai.it/articoli/la-valle-delleden-di-steinbeck-secondo-anna-tagliavini/28522/default.aspx