martedì 21 luglio 2015

Marcel Proust - JEAN SANTEUIL - Einaudi 1976 - £ 8.000

 Ecco il romanzo incompiuto di Marcel Proust, il romanzo abbandonato, il romanzo propedeitico À la recherche du temps perdu, ma pubblicato postumo, nella traduzione di Franco Fortini (1917-1994).   
 C'è una vecchia diatriba tra chi sostiene che si debba stampare tutto di un autore e chi ritiene non lo si possa fare contro la volontà dell'autore. Fortunatamente per noi lettori un po' fanatici di Marcel Proust, si scelse di pubblicare tutto questo materiale, trovato, dopo la morte dell'autore, in un armadio in fogli sparsi e in quaderni, costituito da capitoli ma anche da molti frammenti e brani, alcuni molto brevi.  
 L'autore, abbandonando il manoscritto, non ha potuto correggere, integrare o eliminare quanto poi è stato pubblicato, e questo che leggiamo come romanzo, formalmente non lo è, trattandosi di materiale preparatorio.
 La scrittura densa, sontuosa, comporta una lettura attenta e concentrata, ma delle più piacevoli a condizione che si ami questa narrazione attenta ad ogni manifestazione di natura,  descritta con una ricchezza di particolari che ce la fa percepire più intensamente che se vi assistessimo con i nostri occhi: grandezza della parola, quando viene usata con questa geniale ricchezza.

In mezzo al prato, sul suo piedistallo, la Giunone di marmo che teneva tra le braccia la propria figlia, pareva tenderla alla benedizione del sole che non le si negava e sommergeva madre e figlia nella sua onda dorata. Qualche piccione posava lentamente le zampette su quell'erba come per una prudente investigazione, mentre qualche passero, saltellando, la percuoteva con una più rapida auscultazione, come se pensasse quel luogo propizio a qualche rito sacro o a qualche sapiente scavo, poiché un tale luogo colmo in quel momento di sole pareva infatti uno di quelli che sono popolati dalle opere d'arte, perché sulla sua superficie erano dispersi quei misteriosi piccioni fatti di una materia così preziosa, grigia come l'argento vecchio ma quanto più dolce, così gravi nel loro silenzio che in ogni frullo del loro volo parevano adempiere un rito, e così finiti, nella loro forma cesellata fin al delicato ornamento del loro becco, da far credere, ogni volta che si posavano, di dar compimento per un attimo alla perfezione della cosa nella quale avevano eletto domicilio. E i quel momento, in quel gran vaso antico d'argento, in un angolo del prato, inoltrandovisi, essi parevano mostrar quanto fosse vasto e profondo e quanto abbondantemente avrebbe contenuto le cose che - e fin troppo lo si dimenticava - poteva offrire e che il piccione sembrava cercarvi, restituendole uno dei suoi nomi, conferendole un'acconciatura di parata e, con quel che aveva di palpitante o anche (quando pareva immobile) di colorato, aggiungendo alla statua quella invenzione d'un colore supplementare, di una fantasia derivata dalla natura, che ci incanta in certe sculture antiche; o camminando a passi lenti su quell'erba dorata ma appena dando l'idea dei volgari godimenti di calore, pigrizia e sonno, offrendo la gloriosa apparenza d'una terra di bellezza, amica delle belle forme, dove si aggirassero misteriosi uccelli d'argento grigio. 

La forma narrativa scelta per questo materiale, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, è la terza persona, a differenza di quanto avviene ne la recherche che è scritta in prima persona, ma dove l'identificazione con l'autore è meno diretta, ovvero Jean Santeuil è più simile a l'autore di quanto non lo sia il Marcel di la recherche. Questa differenza non è di poco conto se si pensa quanto Proust fosse in contrasto con Sainte-Beuve, che tendeva a ridurre il valore dell'opera letteraria al valore dell'uomo che l'ha scritta, mentre Proust riteneva che le grandi opere nascono da un io diverso e più profondo di quello che si manifesta nell'esistenza privata.



  Sempre conversando, entrarono nella prima sala, dove il marchese accese tutte le lampade elettriche per mostrare i suoi Manet.
  I vari luoghi della terra sono anch'essi degli esseri, con personalità tanto forti che taluni muoiono se ne son separati e comunque tanto particolari che molti ricercano ogni anno il diletto della loro compagnia e conservano nell'assenza il ricordo del loro incanto. E ognuno di essi ha di volta in volta le sue differenti espressioni, onde chi ama un luogo ama i tempi diversi e tutte le ore di quel luogo, per quanto possa sembrare poco animata, è in realtà molto più varia di quanto siamo soliti credere.
  Quando, mentre già il sole si fa penetrante, il fiume dorme ancora nei sogni della nebbia, noi non lo vediamo più di quanto esso stesso ci veda. Qui è già fiume, ma là lo sguardo è interrotto, si vede solo il nulla, una bruma che impedisce di guardare più lontano. In quella parte della tela, non dipingere né quel che si vede, poiché non si vede nulla, né quel che non si vede, perché si deve dipingere solo quel che si vede, ma dipingere che non si vede, e che all'occhio incapace a vogare sulla nebbia sia inflitta sulla tela la medesima sconfitta che ha subito sul fiume, questo è davvero bello. Ed è bello anche quando si tratta di una cattedrale, perché il portale che non si vede è una cosa molto bella ma è una cosa che vive nella natura. E certe ore della vita sono belle perché non sono viste, perché sono visitate dalla nebbia e perché allora nessuno può avvicinarle. Noi non sappiamo tutto quel che c'è di reale e di vario nella vita del luogo e che tuttavia non lo rende puramente negativo perché il suo incanto può essere manifestato. Sappiamo bene che quel luogo è bello d'autunno, quando è quasi trasfigurato, ma lo avremmo amato meglio se non lo avessimo avuto in un solo momento dell'anno come uno spettacolo, se avessimo amato tutte le ore della sua vita perché manifestano appunto la sua vita, la sua vita, quando l'estate fa tanto ardenti le tegole del tetto della chiesa e orla il sentiero familiare di tanti papaveri fioriti e manipoli di fieno, o se, un giorno di sgelo, invece di andarcene quasi colui che senza toccarlo scorreva su quel paesaggio fosse stato un nemico estraneo a quel luogo, noi avessimo veduto il sole, il turchino del cielo, il ghiaccio spezzato, il fango, l'acqua corrente far del fiume uno specchio abbacinante che l'occhio non può fissare e dove non può riconoscersi, non riuscendo a ritrovar la forma di nulla, mentre gli alberi spogli e lucidi di brina son là, intorno ad una radura o lungo qualche riva, chi sa.

Una lettura davvero incantevole, nel senso letterale: che incanta.

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