mercoledì 11 gennaio 2012

Cesare Pascarella - STORIA NOSTRA - Mondadori - 1958 - £ 350 -


I

Quelli? Ma quelli, amico, ereno gente
Che prima de fa' un passo ce pensaveno.
Dunque, si er posto nun era eccellente,
Che te credi che ce la fabbricaveno?

A queli tempi li nun c'era gnente;
Dunque, me capirai, la cominciaveno:
Qualunque posto j'era indifferente,
La poteveno fa' dovunque annaveno.

La poteveno fa' pure a Milano,
O in qualunq'antro sito de li intorno,
Magara più vicino o più lontano.

Poteveno; ma intanto la morale
Fu che Roma, si te la fabbricorno,
La fabbricorno qui. Ma è naturale.


II

Qui ci avevano tutto: la pianura,
Li monti, la campagna, l'acqua, er vino...
Tutto! Volevi annà in villeggiatura?
Ecchete Arbano, Tivoli, Marino.

Te piace er mare? Sòrti da le mura,
Co' du' zompi te trovi a Fiumicino.
Te piace de sfoggià in architettura?
Ecco la puzzolana e er travertino.

Qui er fiume pe' potécce fa' li ponti,
Qui l'acqua pe' poté' fa' le fontane,
Qui ripetta, Trastevere, li Monti...

Tutte località predestinate
A diventà' nell'epoche lontane
Tutto quello che poi so' diventate.

Questi i primi due sonetti del primo capitolo di STORIA NOSTRA - La fondazione di Roma a cui seguono tutti gli altri episodi della storia di Roma, per proseguire poi con il Medioevo, Napoleone, il quarantotto, l'assedio di Roma, Garibaldi, fino al congresso di Parigi, in totale 44 capitoli, ognuno strutturato in sette sonetti, per un totale di poco meno che 300 sonetti!

Un'opera importante, considerando la vastità dell'argomento, ed anche molto attesa, dopo la pubblicazione e il successo di Villa Gloria - che suscitò l'entusiasmo di Carducci - e di La scoperta de l'America, di cui persino Croce trova parole di apprezzamento, così nel capitolo a lui dedicato in La Letteratura della Nuova Italia:


Questo scrittore di sonetti romaneschi è uno dei più coscienziosi, scrupolosi e tormentati artisti, che ora siano in Italia: un artista che raggiunge sempre la spontaneità della forma, e tuttavia (caso raro) è cosciente di ogni procedimento ch'egli adopera, di ogni più piccolo accento della sua arte, e vi ragiona sopra con sottilissime osservazioni psicologiche ed estetiche. (1911)

A proposito di poeti dialettali, Natalino Sapegno evidenzia in Pascarella le esperienze maturate in ambito verista, e riferendosi ai suoi primi lavori sottolinea come si avverte subito quella volontà di rappresentazione ferma, quel taglio sicuro, quell'evidenza di scorci drammatici; e prosegue:

Ma c'è anche fin d'ora, nella tecnica densa del sonetto, nel modo d'attaccare e chiudere e circoscrivere il racconto, fino in certi giri di frasi, una scoperta bravura, un sovrappiù di abilità letteraria, che si accentua e domina nelle scritture posteriori, di maggior lena e di più ambiziosi propositi: sia nell'epica intenzionale, ma non sorretta da una deguata ampiezza di respiro, di Villa Gloria, o peggio della postuma e incompiuta Storia nostra; sia nel comico abilissimo e frizzante, ricco di trovate e di arguzie, spassoso e pungente della Scoperta dell'America; componimenti tutti in cui appunto campeggia la bravura dell'artista, e il genuino istinto poetico non si ritrova più con quell'impeto e quella pienezza dei primi sonetti.

Voglio chiudere questa presentazione con un sonetto che racconta la morte di Anita Garibaldi, a Mandriole di Ravenna il 4 agosto del 1849:

CCIX

La morte, che da l'ora de quer giorno

Fatale da che lei, povera Annita,
Assieme cor marito, era sortita
Da Roma, j'era stata sempre intorno;

E che in qualunque sito se fermorno,
Notte e giorno l'aveva circuita;
Che all'urtimo perfino era salita
Dentro la barca appena s'imbarcorno;

Adesso che la védde in agonia
E che capì ch'era venuta l'ora
Che ormai se la poteva portà' via,

Nun se mosse; ma appena che l'intese
A l'urtimo respiro sortì fora,
Je s'accostò, la strinse, e se la prese.



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