giovedì 29 settembre 2011

LINUS - Rivista di fumetti e illustrazione - Anno I N.1 - Aprile 1965 - £ 300


Questo primo numero di LINUS, datato aprile 1965, apre con una storica intervista di Umberto Eco a Elio Vittorini e Oreste del Buono che vale la pena di trascrivere integralmente per gli amanti di questo intramontabile mito.

Eco
Oggi stiamo discutendo di una cosa che riteniamo molto importante e seria, anche se apparentemente frivola: i fumetti di Charlie Brown. Vittorini: com'è che hai conosciuto Charlie Brown?

Vittorini
Io mi sono sempre interessato di fumetti da tempi lontanissimi, da quando ero ragazzo. Me ne occupavo anche ai tempi di "Politecnico" e ricordo che una volta ho pregato il nostro amico Del Buono di intervenire su certi fumetti americani parlandone non soltanto sotto il profilo sociologico, come succede di solito, ma anche sotto il profilo storico.

Eco
Di che cosa avete parlato a quell'epoca?

Del Buono
Un po' di tutto, facemmo persino dei fumetti dai Promessi Sposi.

Vittorini
Si, avevamo anche cercato di servirci dei fumetti come mezzo di divulgazione letteraria ma si trattava più che altro di un divertimento per noi stessi: Del resto uno "spirito di fumetto" c'era nel tipo di impaginazioneche usavo per il "Politecnico" dove poi c'era un'appendice interamente dedicata ai fumetti: Trevisani vi curò la pubblicazione di Li'l Abner e di Barnaby, il ragazzo afflitto dalla psicanalisi. Le storie di Barnaby erano uscite durante la guerra e noi su "Politecnico" ne riportammo due o tre.

Eco
E Charlie Brown?

Vittorini
Charlie Brown è venuto per un accidente. Io mi facevo mandare dall'America, da amici che ho li, i supplementi domenicali dove ci sono i fumetti, però questo non l'avevo notato perché quelle persone non mi mandavano mai la pagina giusta. Finalmente una volta ho visto in mano a una ragazza della Mondadori, nel '58-59, un album ancora di quelli formato "forze di liberazione": Incuriosito, melo sono fatto dare e ricordo che passai il resto del pomeriggio mondadoriano a guardarmeli. Da allora li ho cercati sempre.

Eco
Tu che ti sei occupato tra i primi in Italia della tradizione narrativa americana, come collochi Charlie Brown nella letteratura americana?

Vittorini
Bisognerebbe prima stabilire a che tipo di letteratura appartiene Schulz, ma comunque senza andare nel difficile, io lo avvicinerei a Salinger, però con un interesse molto più ampio e secondo me molto più profondo.

Eco
Allora secondo te è più artista Schulz?

Vittorini
Certamente. Salinger, resta, se vogliamo, poeta: però non riesce ad essere il poeta di una società, rimane un prodotto in fondo molto letterario(da questo punto di vista Ring Lardner, l'effettivo creatore del racconto "hot", o meglio "hard-boiled", soddisfa meglio certe esigenze di impegno). Salinger è un "patetico" che evade nel mondo dell'infanzia la quale non è, per lui, rappresentativa del mondo degli adulti, della maturità come loè per Schulz dove l'infanzia è il "signifiant", il veicolo di questo mondo completo che è l'uomo maturo, un po' come Johnny Hart (quello di B.C.) che rappresenta il mondo moderno attraverso l'età della pietra.

Eco
E tu Del Buono come vedi Charlie Brown?

Del Buono
Io sono un convertito a Charlie Brown. All'inizio non mi piaceva affatto. Intanto il mio interesse per i fumetti era diretto al genere avventuroso e Charlie Brown non mi divertiva. Trovavo persone che ridevano, leggendo Charlie Brown, e cercavo questa parte di comico senza trovarla. Però a un certo punto è avvenuta proprio una specie di rivelazione: ho scoperto che i fumetti di Charlie Brown sono assolutamente realistici. E' avvenuta addirittura una identificazione: Charlie Brown sono io. Da quewsto punto di vista ho cominciato a capirlo. Altro che comico,era tragico, una tragedia continua. Ed ecco finalmente ne ho cominciato a ridere. Un fumetto come diagnosi, prognosi ed esorcismo.

Vittorini
E qui vorrei fare un'osservazione di carattere strutturale rispetto a quello che dice Del Buono: lui denuncia un'incomprensione rispetto ai primi contatti con le strips di Carlie Brown. Il primo contatto in effetti non soddisfa: una singola striscia di Charlie Brown non dice niente, è una barzelletta; però nella quantità, quando interviene anche la ripetizione di certi motivi, e le strips si succedono costituite, un po' come le frasi musicali, di invariabili e di variabili, di tre invariabili e due variabili l'una,di quattro invariabili e una variabili l'altra, si ha allora un "continuo" che approfondisce non solo numericamente il significato iniziale e lo snoda, lo articola, fino a farlo coincidere con tutti gli aspetti di una realtà data.

(Questa è solo la prima parte dell'intervista, la seconda parte la pubblicherò prossimamente).


Elio Vittorini - IL GAROFANO ROSSO -Oscar Mondadori XI ristampa 1981- £ 3.500


La censura fascista ha condizionato fortemente la stesura di questo intenso romanzo di Vittorini. Scritto tra il 1933 e il '35 uscito a puntate sulla rivista Solaria tra il '33 e il '36, ma il sequesttro della rivista dove appariva la sesta puntata, costrinse Vittorini a tagliare e riaggiustare molte pagine. Ma neanche dopo le numerose modifiche apportate al testo, il Ministero fascista nel '38 consentì la pubblicazione in volume, che avvenne infatti solo nel '48.

Scrive Giansiro Ferrata nella bella introduzione:

Non si può immaginare che cosa sarebbe diventato il romanzo -al quale Vittorini lavorava ancora per esteso mentre uscivano le varie puntate - senza gli interventi del funzionario fiorentino, e le loro ripercussioni nello scrittore.
(Gli effetti di quel "supplizio a puntate"furono certamente profondi in lui, e contribuirono a fargli risolvere un po' dall'esterno gli ultimi capitoli).
Nonostante i pregi del Garofano rosso anche nel più stretto senso letterario, credo sia giusto andargli incontro come ad un'opera che non è maturata per intiero. D'altra parte le opposizioni rinnovate dalla censura fascista in modi singolarmente toruosi e ostinati, sono una traccia utile per chi voglia ambientare il carattere e il valore del libro nelle circostanze di quel periodo.
Non leggo mai le prefazioni prima di aver letto il testo, perché credo di non dover essere influenzato da quanto viene detto dagli addetti ai lavori, e così è stato anche in questo caso.

Ho dunque letto Il garofano rosso trovandolo coinvolgente, i personaggi vivi e vitali, la narrazione densa, le descrizione dei luoghi che il protagonista attraversa in treno tornando a casa pezzi da antologia, i suoi ricordi infantili toccanti eccetera, poi, da un certo punto in avanti - da quando Mainardi rientra nella città dove studia - ho provato una certa stanchezza nella lettura, come se l'interesse in me fosse scemato. Ed è stato così fino alla fine del libro.

In appendice al volume c'è il saggio che Vittorini scrisse come prefazione all'edizione del 1948 nella "Medusa degli Italiani", nel quale spiega le traversie occorse al romanzo con la censura , le correzioni apportate, i sequestri subiti della rivista Solaria che lo pubblicava a puntate e infine, fatto fondamentale, l'asserzione secondo cui la seconda metà del romanzo non era più quello che pensava dovesse essere. Era cambiato lui nel frattempo:

Ma era dall'autunno del '35 che io non avrei potuto riconoscere più come mia, e insomma come vera, nessuna delle ragioni per le quali avevo scritto il Garofano rosso...
e ancora:

...voglio solo precisare che io m'ero accorto di non avere più nel Garofano rosso un libro "mio" nell'atto stesso in cui lo ritoccavo per la censura.

e ancora:

Si scrivono romanzi che sono buone opere, e che hanno un'efficacia, che toccano un segno o un altro, anche nel linguaggio che io non ho saputo parlare con coerenza, con serietà, con sincerità o almeno con pieno piacere di parlarlo, attraverso le pagine (specie la seconda metà) di Garofano rosso.

Questa prefazione del '48 è un proprio e vero saggio sul romanzo, con una carellata sulla letteratura europea e americana del dopoguerra, ma anche stimolanti riflessioni sul linguaggio nella narrativa, anche in rapporto con l'opera lirica e il melodramma. Insomma, un testo interessante da leggere e studiare, indipendentemente dal romanzo di cui è prefazione.

mercoledì 28 settembre 2011

Ernesto "Che" Guevara - LA GUERRA PER BANDE - Oscar Mondadori 1967 - £ 350

Il 9 ottobre del 1967 Ernesto Che Guevara veniva catturato ferito durante un combattimento e successivamente ucciso a La Higuera, provincia di Villegrande in Bolivia, da reparti antiguerriglia boliviani assistiti da agenti speciali della Cia. Moriva un uomo e nasceva anzi si consolidava un mito.

Poi, dopo la resa senza condizioni del comunismo reale, la caduta del muro di Berlino, la vittoria su tutti i fronti del consumismo edonistico e la riscrittura revisionistica della storia, giornalisti camuffati da storici (vedi Alvaro Vargas LLosa), si dilettarono ad esprimere giudizi assai negativi sull'opera politica e militare del Che, dimenticando di contestualizzarne le azioni.

E' accaduto a tutte le figure storicamente significative, da Nerone a Mao Tze Dung e questo conferma la tesi che la storia la scrivono i vincitori.

Come dice Marc'Antonio Il male che gli uomini fanno, vive dopo di loro; il bene è sovente sotterato con le loro ossa: lasciamo che sia così anche per Cesare.

Questo manuale del perfetto guerrigliero è stato molto in voga alla fine degli anni '60 e l'inizio dei '70, quando sembrava che la scelta rivoluzionaria fosse la sola possibile per uscire - in occidente - dalla stagnante melma conservatrice e reazionaria e, nell'America latina, come l'unico possibile riscatto di un proletariato contadino oppresso e miserabile.

Non è stato così. Le rivoluzioni non si esportano e i popoli antepongono il burro ai grandi ideali di libertà e, dalle nostre parti, la cosiddetta scelta armata - deviata e contaminata - fece danni irreparabili a quella parte in nome del quale diceva di operare.

Certo, nella palude nella quale si dibatte attualmente tutto il mondo capitalistico, con la speculazione finanziaria mondiale che sta strangolando paesi interi, la scelta rivoluzionaria potrebbe tornare d'attualità e allora ecco pronto il vademecum per gli aspiranti guerriglieri.

domenica 18 settembre 2011

Luigi Pintor - SERVABO - Bollati Boringhieri 1991 - £ 14.000



Il ricordo che ho di Luigi Pintor risale ai tempi che partecipava, come giornalista de l'Unità, alle tribune politiche in televisione. Ne apprezzavo la chiarezza espressiva, la logica stringente, l'ironia dissacrante, la capacità di riportare sempre il politico intervistato al nocciolo, al centro del problema posto. A me dava l'impressione che insieme a questa sua grande capacità dialettica, senza prolissità e lungaggini, sobrio e asciutto, esprimesse anche una qualche forma di ritrosia, una innata riservatezza del carattere - forse dovuta al suo essere sardo - che lo rendeva simpatico, caratteristica inconsueta nei giornalisti d'assalto che frequentavano le tribune elettorali dell'epoca.

Poi, coerente al suo essere comunista, quando nell'estate 1968 le truppe sovietiche entrano a Praga per stroncare la primavera di Dubĉek, assume, insieme al gruppo che poi fonderà il manifesto, una posizione di dura critica, in aperto contrasto con la maggioranza del PCI, da cui verrà radiato insieme a Natoli, Rossanda, Magri e altri. Ma questa è un'altra storia.


Questo volumetto di Luigi Pintor mi è capitato per caso tra le mani, mentre girovagavo curioso tra gli scaffali della libreria Arion a Cinecittàdue; tra tanti volumi che gridavano graficamente di essere acquistati, Servabo mi ha colpito per la sua sobrietà ed eleganza, poi il titolo incomprensibile e infine il nome dell'autore, da me molto stimato e che in questo bellissimo libro - dando ancora prova di modestia - inizia con una citazione di Voltaire:

I libri più utili sono quelli dove i lettori fanno essi stessi metà del lavoro: penetrano i pensieri che vengono presentati loro in germe, correggono ciò che appare loro difettoso, rafforzano con le loro riflessioni ciò che appare loro debole.
Concetto questo - della complicità del lettore - espresso anche da J.L.Borges nella dedica di Fervor de Buenos Aires:
A chi mai leggerà. Se le pagine di questo libro consentono qualche verso felice, mi perdoni il lettore la scortesia di averle usurpate io, previamente. I nostri nulla differiscono di poco; è banale e fortuita la circostanza che sia tu il lettore di questi esercizi, ed io il loro estensore.
Servabo è uno di quei libri che è importante leggere, questa Memoria di fine secolo - come recita il sottotitolo - infatti, riguarda tutti noi, quelli che hanno vissuto gli anni della guerra e quelli che per ragioni anagrafiche ne hanno solo sentito parlare.

Con il pudore - che è come una sua seconda natura - Pintor ci racconta in dodici capitoletti, un prologo e un epilogo, cinquant'anni di vita italiana: la morte del fratello Giaime, saltato su una mina tedesca, mentre tentava di raggiungere le formazioni partigiane, ma anche il suo arresto e la prigionia - senza dire una parola delle torture cui fu sottoposto dai fascisti della banda Koch.

Un libro da leggere più volte, per apprendere - senza dissertazioni pedanti - cosa vuol dire dignità e senso etico, quanto mai essenziale in questa fase di vita italiana.

sabato 17 settembre 2011

TROPICI PRIMA DEL MOTORE - Fotografie Renzo Ragazzini - Testi Goffredo Parise e Renzo Ragazzini - Iveco & Touring Culub Torino - 1981

Questo libro fotografico di Renzo Ragazzini è uno dei più belli in assoluto che mi è capitato di sfogliare; qui forma e contenuto sembrano aver raggiunto il massimo della fusione. La forma è il suo stile inconfondibile: la scelta del taglio dell'inquadratura, della luce, la scelta dell'attimo da fissare; il contenuto: una umanità colta in luoghi diversi con l'antico problema del trasporto e del lavoro senza motore.




Così Ragazzini:
"Da quando ho cominciato a fare i primi viaggi nel terzo mondo, la fatica dell'uomo è stato l'elemento costante che più mi ha affascinato, tanto da diventare una delle principali chiavi di lettura di quella realta."



E ancora:
"Ho sempre assistito a questo spettacolo con un misto di curiosità, di pietà, di ammirazione, osservandolo come fosse un film del mio passato, di un modo antico durato centinaia di migliaia di anni: un film sulla fatica della specie umana per sopravvivere..."





"Alla fine di ogni viaggio, se dimenticavo i dettagli esotici, diversi tra loro per geografia e cultura, mi restava la sensazione generale di aver assistito ad una grande fatica. più o meno drammatica, a seconda dei casi, ma sempre tesa alla sopravvivenza , vissuta come legge di vita, una legge per la quale tutto doveva essere trasportato, sollevato, raccolto, macinato, impastato, senza l'aiuto di soluzioni esterne."

Così, nel breve testo che apre il volume, Goffredo Parise:

"Se noi guardiamo attentamente le fotografie contenute in questo libro ci accorgeremo con immenso stupore che le persone fisiche raffigurate, uomini, donne, vecchi e bambini sono tutti belli. Dico tutti, nessuno escluso, quale che sia la loro età. E' mai possibile? Ragazzini ha eseguito un reportage dopo tutto, non un lavoro di fotografo di studio, ha colto sempre dal vero e istantaneamente quello che gli capitava sott'occhio. E' vero che il suo procedimento stilistico personale è stato quello di illuminare secondo appunto il suo stile, in un certo modo paesaggi e persone, ma certamente non ha potuto sceglierle. Ha fotografato quello che c'era, niente di più. E quello che c'era, quello che le vie del mondo senza motore offrivano erano anatomie umane non soltanto belle ma dotate di stile."
Le foto sono state scattate tutte con Hasselblad e con varie focali Distagon 50, Planar 100, Sonnar 150 e 250 e anche Biogon 38 della Super Wide. Pellicola Ektakrome. Per gli amanti della vera fotografia un volume da sfogliare con grandissimo piacere.

lunedì 12 settembre 2011

Roberta Clerici & Ando Gilardi - PHOTOTECA Phototeca srl editrice Milano 1980 £ 5.000



Sono passati più di trent'anni da quel lontano 1980, quando Ando Gilardi, fotografo e storico della fotografia, uscì con questa rivoluzionaria rivista monografica trimestrale di cultura fotografica.

In questo lungo consumarsi del tempo sono caduti muri e imperi, si sono imposti al gracile senso civico degli italiani, dissoluti guitti in veste di governanti, che in altri tempi, per le loro disonorevoli imprese, avrebbero abitato le patrie galere, ma sopratutto è morta la fotografia

Non l'immagine, che semmai è cresciuta a dismisura, proliferata dalla semplicità operativa del mezzo digitale, ma la fotografia intesa come sinergia tra un principio fisico e la scoperta della sensibilità alla luce del cloruro d'argento.

Sfogliando la rivista, al di là del suo impegnativo contenuto, un manifesto per la logica della immagine, colpisce per le pagine che pubblicizzano materiale fotografico tradizionale: la gloriosa Canon AV1, la indimenticabile carta Ilford Galerie, gli obiettivi universali Tamron: la nostalgia di un glorioso passato, quando fotografare richieda un minimo di impegno intellettivo!









sabato 10 settembre 2011

LUNGO LE STRADE DI "UNIDAD POPULAR" - I manifesti cileni degli anni 1971 - 1973 - 16 cartoline - Arci Uisp

















Queste splendide 16 cartoline, che riproducono altrettanti manifesti di "Unidad Popular", sono state edite a Roma dalla Centrale di Cultura - Tempo libero - Sport dell'Arci-Uisp nel novembre 1975.

Qui le riproduco per ricordare il programma di governo di Salvador Allende, iniziato e a buon punto di realizzazione, prima che la sedizione militare, sostenuta dalla CIA, infrangesse quel sogno di democrazia, libertà e dignità nazionale, e spingesse il Cile nella barbarie di uno dei più sanguinari regimi fascisti della storia americana.

Al di la del valore politico di questi manifesti, credo si debba apprezzare il grande valore estetico, di ricerca, nella comunicazione politica. In Italia per esempio, all'epoca, i manifesti politici erano di una banalità deprimente, uscendo questi non da centri di elaborazione grafica ma direttamente dalle direzione dei partiti. E attualmente non ci sono stati passi avanti degni di nota.

giovedì 8 settembre 2011

Fruttero & Lucentini A CHE PUNTO E' LA NOTTE? - Club degli Editori 1979


Fruttero & Lucentini sono una coppia di formidabili creativi che hanno nobilitato il genere poliziesco, non solo dimostrando, dopo Gadda del Pasticciaccio, che lo scenario, l'ambientazione, la location come si dice oggi, non ha nessuna importanza ai fini della credibilità nel racconto giallo, ma anzi che la piovosa atmosfera di una città del nord'Italia, guarda caso Torino, è perfetta per racchiudervi una storia dove criminalità, gnosi, mafia, Fiat si incrociano e si avviluppano fino allo scioglimento finale ad opera di un grande investigatore, il Commissario Santamaria - già incontrato in La donna della domenica.

Un grande romanzo che appassiona e diverte e che consiglio vivamente a chi ancora non lo avesse letto.

Vita Sackville-West - IL PIU' PERSONALE DEI PIACERI - Garzanti 1992 - £ 35.000



Circola nella letteratura dell'800 la suggestiva tesi che l'elaborazione interiore - cioé quello che immaginiamo di un fatto, di un luogo o di un rapporto - sia superiore, per intensità e capacità evocativa, dello stesso fatto, luogo o rapporto reali; come se la realtà banalizzasse quei fatti, luoghi o rapporti che l'aspettativa, nell'elaborazione interiore, aveva suscitato.

La teorizzazione di questa sorta di neo-idealismo la trovo continuamente in Proust, sopratutto nel martoriato rapporto tra il protagonista della recherche e Albertine, ma anche in Vita Sackville-West, in questi suggestivi Diari di viaggio, Persia 1926-1927, dove, ad esempio, in procinto di ammirare la Valle dei Re, scrive con la sua elegante prosa:

C'è una strana eccitazione nel non sapere quello che si vedrà poco più avanti: la mente, tesa, cerca di proiettarsi un'immagine, che poi non trova - come raccogliere una brocca d'acqua convinti che sia piena, e trovarla vuota. Non mi ero prefigurata nessuna immagine del cimitero dei faraoni. Certo, pareva incredibile che tra pochi minuti lo avrei guardato con i miei occhi, e per il resto della vita avrei saputo esattamente che aspetto aveva. E allora mi sarebbe parso ugualmente incredibile il non averlo sempre saputo. Queste piccole ma stuzzicanti riflessioni mi fecero attardare, ero restia a separarmi dalla mia ignoranza, mi rimproveravo di avere sprecato tutti quegli anni senza meditare su questo sepolcro reale. Non avrei mai più avuto questo godimento a portata di mano. stavo per scambiare il piacere dell'immaginazione con la grigia realtà della conoscenza.

Stupefacente, ma anche spiazzante intuizione!

Vita Sackville-West è uno di quei casi in cui la biografia prepondera su l'opera letteraria, la si conosce più per la sua relazione con Virginia Woolf, e gli atteggiamenti anticonformistici, che non per la sua narrativa o poesia, eppure la sua scrittura è fresca e avvincente, le idee che esprime colgono sempre aspetti sorprendenti della realtà. Come quando predilige l'intuizione empirica rispetto alla conoscenza accademica:

Sarei tentata di provare, studiando botanica fino a essere in grado di distinguere le Scrofulariacee dalle Cariofillacee, ma ho troppa paura di scoprire, una volta assorbite tutte quelle nozioni, di essermi persa i piaceri dell'ignoranza. Pochi piaceri sopportano lo sforzo della ricerca: si ammaccano come frutti morbidi quando li si tocca con le mani. E' più sicuro non saperne troppo.
E lei, Vita Sackville-West di botanica ne sapeva abbastanza da realizzare con il marito i più bei giardini del Regno Unito, nel Castello di Sissinghurst nel Kent:

http://www.nationaltrust.org.uk/sissinghurst/

Un libro di viaggi che si legge come come un romanzo avvincente, pieno di curiosità, riflessioni profonde, analisi politiche e divertenti paradossi. Un paese molto amato da Vita Sackville-West che ne racconta le arretratezze estreme e che, nella cronaca dell'incoronazione dello Scia di Persia Reza Palevhi, alla quale assiste con il marito diplomatico, ne rivela tutte le contraddizioni.